di Katia Ricci
La ricerca di Renato Centonze dagli anni settanta ad oggi si fonda su un processo di semplificazione e affinamento del linguaggio pittorico e insieme di decantazione dell’ideologia del rapporto dell’uomo con la natura e di autoriflessione.
Le opere di quegli anni erano più scopertamente contenutistiche: gelide sagome di uomini disumanati sullo sfondo di una natura calpestata e spettrale, resa con toni spenti, la materia pittorica fredda e il segno icastico a denunciare la violenza dell’uomo sulla natura che, in ultima analisi violenza su se stesso.
Oggi dell’ideologia si fa un gran parlare, in una sconcertante e sospetta concordia di tutti: inquinati ed inquinatori; si istituiscono appositi ministeri e assessorati (del tutto esornativi);si versano fiumi d’inchiostro e di lacrime sui guasti irreversibili; la natura violentata è persino ridotta a tracce di temi edulcorati e falsamente progressisti propinati da insegnanti, tanto privi di fantasia, quanto desiderosi di sentirsi moderni, ad allievi ben contenti di avere di che scopiazzare.
L’interesse ecologico, l’amore per la natura di Centonze si fa, invece, nelle ultime opere, più mediato e meditato, proprio di chi ascolta, guarda, riflette per coglierne le note segrete, anche quelle più in sordina, per immergersi nel suo ritmo e scoprirvi il proprio.
Il pittore adopera solo gli strumenti del suo mestiere:(tele di ampie dimensioni), colori (preferibilmente ad olio), pennelli.
Nelle grafiche ricorre a sovrapposizioni di carte per aumentare lo spessore del segno.
Per l’autore la pittura si fa ancora ”per via di porre”: con gesto calmo e pacato, gremisce le superfici di pennellate fitte che strutturano uno spazio infinito che si identifica con il colore. Della materia pittorica analizza la qualità, l’effetto di trasparenza, la malleabilità dei colori ad olio, gli accordi cromatici delle graduali variazioni, ottenendo effetti atmosferici e valori tridimensionali.
I pigmenti colorati si addensano sulla tela dai più pesanti ai più luminosi in un equilibrato accostamento di toni caldi e freddi fino a formare una tessitura armonica, a comporre un mosaico privo, però del suo caratteristico scintillio. La luce, infatti, non è esterna alle note cromatiche, essendo ogni tessera fonte di luce essa stessa, mentre i blu, i neri sono note basse e profonde che evocano echi remoti in ampi silenzi. Le virgole di colore si increspano e si espandono in ogni direzione con un ritmo regolare che esprime e cattura il movimento che è nella natura: maree, erbe mosse dal vento, nuvole sfilacciate, vibrazioni di luce. Il movimento, intenso, mai convulso, nasce dallo stesso ritmo interiore, in sintonia con il vitalismo di una natura agita da microparticelle che pulsano e pullulano incessantemente.
La compatta trama delle pennellate a volte si sgrana e lascia intravedere una forma appena abbozzata, un’immagine non definita, diventa un pentagramma e una base per la scrittura che non è mai esplicativa ma piuttosto un elemento calligrafico che si armonizza con tutte le altre componenti dell’opera.
Guardando la mostra si avverte che l’artista ha attraversato molte esperienze pittoriche, si è misurato e ha sperimentato molteplici linguaggi; ma non rivela strette dipendenze da questa o quella corrente; con tutto ciò non è un eclettico, piuttosto ha maturato un proprio linguaggio in cui le varie suggestioni sono mediate da una sensibilità intensa e schiva, da un gusto per la materia pittorica non conformista e non succube delle ultime, ultimissime tendenze e mode.
Testo di presentazione della mostra presso la Galleria «le Figure»Cerignola (Foggia) 10-25 maggio 1986