di Fabiola Quarta
È passato un anno da quando Renato Centonze ci ha lasciati, da quando la sua assenza ci costringe a fare i conti con un vuoto difficile da colmare e con la sensazione che nessuno riuscirà a trovare parole o gesti che ne conservino, anche in minima parte, un’immagine fedele e completa. Un uomo che racchiude tanti e le relazioni che costruisce con gli altri sono molteplici e complesse, ognuna è unica e speciale ma tutte conducono a lui, alla sua anima ed al mondo di stare al mondo di cui egli è capace. Noi l’abbiamo conosciuto soprattutto nell’impegno politico e nella sua grande umanità, nella straordinaria capacità di mettersi a disposizione come risorsa della collettività, generoso ed umile nel suo essere sempre se stesso , senza appartenersi in modo esclusivo e disponibile a smentirsi, per crescere.
Gli eravamo e gli siamo profondamente grati, per questo. E crediamo che la tenacia e la coerenza che lo hanno contraddistinto lungo tutta la sua vita rappresentino un messaggio che non può andare perso… Per questo ci piacerebbe trovare il modo di conservare come un bene prezioso, a volte da noi immeritato, il suo esempio, di offrirlo a chi è meno forte di quanto lui sia stato e a chi anche per lui dovrà lottare a difesa della libertà intellettuale e dello spirito critico con cui è giusto che ogni uomo si metta in gioco, con cui lui lo ha sempre fatto.
Era uno che si sporcava le mani e non si tirava indietro. Era uno che accettava le sfide, Renato, lasciando i conti a chi non aveva coraggio. Amava sentirsi ripetere che ciascuno può trovare mille motivi per non impegnarsi nella società e così, pure, per non “fare politica”, ma che la differenza la fanno poi coloro che ne trovano almeno uno di motivo, per farlo. Lui ne trovava ogni giorno più d’uno scegliendo di fare, piuttosto che cercarel’errore ed i fallimenti altrui. E averlo accanto nelle battaglie grandi e piccole del percorso politico che abbiamo condiviso rappresentava, per ognuno di noi, oltre che un piacere, anche la certezza di poter contare su un compagno che non si sarebbe risparmiato.
Ci piace pensare che ci approvi nei nostri sforzi di partecipare alla costruzione di un progetto comune e din non farci risucchiare dai pannicelli caldi del “o tutto (o come dico io) o niente!”. Ci piace ricordarlo con queste parole di Gramsci:
«…sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voltuo e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandono: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferentei anche per questo: perché mi dà fastidio ill loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano….».
Era partigiano. Ed era generoso.
Pubblicato su “La Piazza”, periodico di cultura, politica e informazione, 26 giugno 2011