I suoni dell’opera d’arte

di Massimo Guastella

Da quanto renato Centonze ha decisamente  rivolto “lo sguardo all’universo naturale”, non senza una vena di partecipato ecologismo ambientalista, sui supporti dei suoi dipinti, o pitture-sculture, si distendono campi d’erba disegnati dal vento eseguiti con una lenta procedura manuale fatta di tocchi di pennello, intriso di materia cromatica, che s’ispessisce creando una trama compositiva fitta e marcata. E i tratteggi scanditi da simboliche variazioni tonali, ora tenui e attutite, ora brillanti e solari, costruiscono un sistema segnico di “pittura- pittura” come si etichettano genericamente tali opzioni conpositive – accostabile a un tappeto naturale che incede nello spazio e diviene continua. (…)

Le pitto-sculture che Centonze realizza, a partire dagli anni Novanta, si rifanno a codici linguistici densi di tensioni spirituali che sembrano dettate, in quell’espandersi della tessitura della superficie, da contemplazioni filosofiche, da meditazioni Zen che immegono lo spirito individuale nella dilatazione temporale dello spirito universale. E l’uomo-artista, intanto che si astrae nella  indefinitezza della materia cosmica levandosi in un volo mentale, sino a perdere l’orientamento a vista delle cose terrestri, si predispone a captare suoni provenienti dall’universo infinito. Così Renato centonze giunge a concepire forme plastiche che possono essere utilizzate per emettere  sonorità e dunque assomma, in sintesi progettuale, alle campiture policrome stratificazioni tridimensiionali che riducaono la distanza tra opera e riguardante.

Nascono in tal modo i risultati più suggestivi delle creazioni di Centonze che suggerisce l’interazione tra osservatore e altorilievi cavi, rivestiti con pelle di tamburo, rullanti, tese corde metalliche, campanelli festanti. L’oggetto artistico travalica la sua funzione estetica di mero aspetto formale percepibile visivamente e si propone quale strumento musicale che potenzia l’attività sensoriale, quella tattile e quella acustica, attraverso il gesto che può aggiungere fraseggi ritmici e armonici.  È un invito ad allargare il campo delle esperienze sensibili proprie dell’arte mediante l’oggetto da suonare e da ascoltare oltre che da vedere. Tuttavia non si tratta di una concezione artistico-musicale di sapore kandiskijano o ciò che in “critichese” potrebbe interpretarsi come un colorare i suoni o viceversa dare sonorità ai colori. Sarebbe errato credere che le opere di Renato Centonze s’ispirino alla musicalità. Piuttosto sono esse stesse medium, olter che in segni, forme e cromie, che si prestano a rievocare arcane  armonie ancestrali.

Spostando nell’impaginazione pitto-sculture una forma non forma, lasciandola scivolare sulle corde tese, si ottengono nuovi equilibri compositivi e il tempo stesso si impone una percezione acustica: oppure pizzicando corde che tracciano un percorso e odono le sonorità interiori della via attraverso cui si realizza l’universo personale dell’artista, forse “la strada” per eccellenza del pensiero taoista. Acrilici su cartoncino Fabriano o carta cinese, olii su tele sovrapposte a tele , sagome lignee o pelli e corde metalliche, collages di legnetti policromi e poi ancora finester che si aprono su sentieri erbosi, scenari subacquei, paesaggi di cieli e nuvole, maculati giochi cromatici costituiscono il corpus delle opere di Renato Centonze  che Maria Rosaria Luperto espone in questi giorni nella galleria “Progetto Arte” di Lecce. Ci si trova catapultati nel campo dell’opera d’arte che si apre per completarsi nell’intervento del fruitore, a sua volta attratto non poco da una possibile relazione con la sfera estetica tutt’altro che virtuale.

 

 

Quotidiano, 2 giugno 1996 – Cultura & Società testo critico di Massimo Guastella

Progetto Arte/Lecce, 18-27 maggio 1996

L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile

P. KLee

di Marina Pizzarelli

 

Alla base del lavoro di Renato Centonze, sin dagli anni Ottanta (dopo la stagione politica e una pittura figurativa vagamente espressionista), c’è un’immersione catartica nella natura e una ricerca, sempre risolta nei modi dell’astrattismo, fatta di tessiture d’iride a fare tessiture di spazi: spazi equivalenti a paesaggi (un’orizzontalità di pianura erbosa scompigliata dal vento, di filo increspato d’acqua, visti dall’alto), in cui sono portate all’estrema decantazione le superfici vibratili del pointillisme.

La scommessa di Centonze è nel riuscire a farci ascoltare il “suono interiore” della natura, senza violarla, attraverso la contemplazione  e la meditazione, come suggerisce il pensiero orientale – il Tao, lo Zen – che annulla il confine tra microcosmo e macrocosmo, dentro e fuori, lasciando che l’energia della natura fluisca e tutto pervada. Ma la vera avventura è nell’essere presi dalla pittura “dentro” la pittura, in un turbinio di filtrate sensazioni paniche che il blu (del mare), il verde (dell’erba), il giallo (della luce solare), assolutizzano e immensificano, nella suggestione della percezione di memoria della natura.

L’artista sembra sentire il pennello, il colore, la tela come parte di se stesso… Non c’è gestualità,  ma un fluire tranquillo e meditato, calligrafico, che definisce i propri percorsi in quel muoversi virgolato e fitto, a costruire arazzi di fili d’erba, di gocce d’acqua, di ali di farfalla, in una sorta di traslazione poetica del pensiero democriteo. È la trascrizione, in carte squisite di acrilici, in tele luminose di olii, di quelle capacità di sentire che i latini dicevano “animadvertere”.

In questa fase del suo itinerario, anche dove appare scopertamente più sensuale, più lirica, più libera, la pittura di Centonze non prescinde mai da una sua articolazione mentale, direi critica. E come un sottile ragionare sulla capacità “mimetica” della pittura, strumento di percezione sensibile, c’è qui una sorta di “ritiro dei sensi”, presupposto della concentrazione con cui l’artista costruisce i termini del proprio intenso lirismo, la propria capacità di riflessione, di memoria emozionale. La nostalgia per la natura tutt’uno con il destino dell’uomo, serenamente, pacatamente rievocata, produce opere in cui c’è un esemplare equilibrio tra rigore ed emozione, fuga dall’angoscia per la tangente della poesia. E nessuna emozione della natura va smarrita in questa determinazione mentale del dipingere, in questo sistema di segni fondato sulle infinite trasparenze della luce.

C’è tuttavia in questa pittura il germe del fieri, del divenire, del non approdo, del viaggio ininterrotto, il tocco veloce denuncia già la propria impermanenza, la propria non volontà di sistemarsi in una fissità visiva. Così quel colore dai toni pastello, fatto di piccoli tratti reiterati, di trame e intrecci, genera la voglia di sfuggire alla rigida bidimensionalità del quadro astratto e si frammenta o aggalla in profili aggettanti dai sottostanti color fields, si concretizza in ispessimenti materici o in emergenze oggettuali, in una poetica dell’intreccio e dell’accumulazione.

È, per l’artista, una fase di espressione e di espirazione (non certo di cieco vitalismo), di riappropriazione di energia terrena. Nasce e si anima un fuoco, fisico e interiore, si accendono i colori caldi, in un crescendo dai toni sommessi e fruscianti delle opere precedenti alle sonorità più intense e inebrianti di queste ultime – fuoco acqua aria terra – evocazione di un Eden perduto che vive nell’inconscio collettivo.  L’astrazione è oggi come  arricchita, nutrita del senso folgorante, corposo, del paesaggio del sud, si trasforma in “cosa” , non più fatto lirico e iconico, ma più sensualmente tattile, fisico, consapevolmente decorativo, sonoro anche.

L’artista pratica contaminazione tra pittura, scultura, musica. E la sua musica, prima suonata con un filo di erba, diventa sinfonia, ritmo. Che è quanto si è sempre verificato entro il tessuto ritmico continuo di questa pittura: un tessuto che cresce nell’infittirsi del segno-colore, nei toni intensi dei rossi, dei gialli, dei verdi, dei viola in tasselli lignei, che crea punti di bagliore, è frantumanto in molteplici tensioni dinamiche, eppure resta compatto nell’andamento del suo ritmo musicale.

Oggi esiste nell’opera di Centonze una più libera volontà di comunicazione dell’esperienza interiore, un obiettivo di partecipazione, nella tela, nella trama di rapporti cromatici e psichici, che acquistano anche un’apertura al gioco, contrappunto tra cuore e mente, tra spontaneità di impressioni e rigore di schemi mentali. Così, nel grande flusso dell’energia, la festa del colore e dei segni danza senza fine.

 

Testo critico di presentazione della mostra Progetto Arte/ Lecce, 18-27 , maggio 1996