di Angela Serafino
Per l’elogio alla sintesi, di questa mostra scriverei soltanto “dal colore…al colore”, lasciando tutto il tempo di decantazione necessario affinchè la parola colore abbia la sua giusta risonanza.
Perché in realtà le opere esposte nel chiostro del convento dei Frati francescani, a Lequile, nella loro sequenza sono una sedimentata storia del colore, elemento al quale, il pittore Centonze, nel corso della sua attività artistica ha concesso tutto il tempo che questo richiede per essere corpo dell’opera.
La mostra è la sedimentazione di quel colore che risponde alle leggi della creazione e ci consegna sin esteticamente la sua qualità, di misura, di chiaroscuro, di estensione, di peso. Di quel colore che all’origine non è dato poiché “gli atomi non han colore di sorta/ ed essi sono forniti di forme varie, per cui/ ne creano il genere intero, e varian tutte le tinte,/ proprio perché per i singoli atomi importa moltissimo/ con quali vengano a mescersi e in che postura, e che moti/ essi a vicenda s’imprimano…” (Lucrezio).
Di quel colore che conosce il piacere e la forza che percorre la tela dal fondo e strato su strato forma il corpo cangiante dell’opera, generando le dinamiche, sino ad essere il moto stesso dell’intera composizione.
Il moto della composizione, proprio perché è –colore- parla una lingua le cui parole non sono definitorie, assertive, ma assonanti, comparative, indirette, evocative; lasciando un frammento di spazio incolto nel quale si generano echi di coloriture.
“quando mi domandano il colore di qualcosa, entro sempre in crisi, perché non so rispondere con un solo colore, il colore non è mai uno soltanto”. Quell’eco di coloriture, che ha luogo nell’opera di Centonze, è la traduzione pittorica di questo suo pensiero. Il colore è un processo (è biologico, se così si può dire, ha scritto Cézanne) d’interazione tra fenomeni e in quanto tale non facilmente resta da solo e meno ancora è determinato dall’assolutezza del confine.
Non resta immutabile il blu, non resta immutabile il rosso, non restano immutabili i colori poiché essi sono la misura (Il fluire della vita ‘99) di ogni accadere, di ciò che all’origine non vediamo e che successivamente nello spettacolo dei cromi riconosciamo come accadimento.
Il colore è il veicolo e il corpo delle tensioni, delle trasformazioni, elemento di sintesi della lotta e dell’estensione delle forme, che si configurano ora disgiunte, disgregate, ora in coro. Perché possa essere d’eco il colore presuppone la sua valenza “biologica” e nell’opera tale valenza continua ad essere viva e non soltanto vivace.
Nelle opere qui esposte, nelle diverse “fasi” caratterizzanti il processo creativo, il colore nutre la tela, la pelle di tamburo, le carte, il legno, di continuità tra opacità e trasparenza, sequenzialità e smarrimento, d’irradiazione verso l’alto e strisciamento aderente al fondo. Tutte queste sfumature di percorribilità dell’opera, compresa quella di attraversarla interamente, (come per Il segno, la forma, il suono, il fluire ’02) e di commistione tra le materie sono il risultato, in una concezione dilatata del tempo, di riflessione e lavoro, quasi artigianale a volte nel succedersi delle azioni. Per ritagliare, sagomare, limare, incollare…aspettare, aspettare, il colore.
Quel colore a volte viene da un segno d’inchiostro lasciato su un frammento di carta sottile; così nascono alcune opere, ad esempio, Il corpo….il gesto…il suono del giallo (2000/1).
Il colore non è mai uno solo perché chiama a sé…la musica.
Ancora la musica. Le opere di Centonze si iscrivono in quel lunghissimo corso della storia dell’arte che sfoglia le pagine della pittura di paesaggio, dal suo dato riconoscibile alla sua trasfigurazione astratta. Il binomio musica/pittura si può collocare in seno alla poetica del Romanticismo quando si sposta l’attenzione dal pittoresco al sublime, dall’oggetto alla macchia e il paesaggio diviene luogo delle risonanze in cui il soggetto corrisponde alla natura.
Nella tradizione dell’“arte nuova”, continuano ad intrecciarsi due aspirazioni: quella di non rifare il visibile e quindi dipingere vuol dire indagare le leggi che sottendono al visibile, cogliere cioè il RITMO, il principio primo; e al pari tendere alla musica, cioè a quella qualità d’astrazione che, attraverso il valore compositivo del colore, conquista la sua autonomia dal referente oggettuale.
La musica è il rigore dell’opera stessa, non quindi la musica dipinta o il suono dei colori. Il medium della contiguità tra musica e pittura è il RITMO.
La musica, nelle opere di Centonze, vale come invito a far parte del ritmo. Le opere possono essere anche suonate, poiché alcune, quelle che l’artista chiama pittosculture sonore, sono concepite come –strumenti- ma non è necessariamente questa caratteristica a conferir loro il suono.
Il suono è generato dalla qualità formale con cui –pittoricamente- sono composte. “Il più importante mezzo formale della musica è la ripetizione (Ejzenstein)”, e non risulta difficile accorgersi della reiterazione, elemento fondamentale, che con tutte le sue varianti di tratto, segno, incisione, graffio, materializzandosi in occhiello, corde, campanellini, mette in luce le comunanze formali tra una fase e l’altra, senza sospensione di tensione.
Se il ritmo è il termine comune che rende possibile la reciprocità tra musica –pittura- natura- essa ci permette, nell’attualità dell’innaturale, di fruire dei paesaggi nei quali partecipare dell’assecondarsi di pieno e di vuoto, dell’opposizione del rosso e del blu, dell’avvicendamento dell’inoltrarsi nel fondo del colore e dell’uscire in fuori dagli spazi previsti, come nei campi incolti i fiori gialli emergono. Le leggi della pittura possono essere ricondotte a poche soltanto tutto sommato quando le qualità formali sono elaborate in tutta la loro estensione.
I lavori di Centonze sono testimoni di quella ricerca che lo fa spettatore non indifferente di queste leggi, non nostalgico, consegnando alla visione d’insieme dell’opera un’impronta di leggerezza per poter respirare ancora e ricominciare senza il peso della fine.
Il percorso della mostra si apre con i Cieli musicali (’84). Tre appunti sull’aria, come risultato di quel mutamento lento e ragionato che contraddistingue il modo di procedere dell’arte, attraverso una fermentazione e un andare avanti, raccogliendo lo scarto di ieri, in altra forma oggi composto. Di questo lavorio, noi percepiamo, com’è giusto che sia, soltanto la trasparenza. Nelle tre opere, il cangiante chiaro del cielo è reso con la ripetizione dello stesso tratto (la musica), fitto ma aperto nello stesso tempo, che si succede per tre elaborando altre sembianze di colore. Dai cieli si avvia la presa in rassegna di tutti gli elementi naturali che sono, nell’esperienza percettiva, presi in consegna come un reticolo di elementi costruttivi dell’opera, i quali “attraverso una trascrizione pittoricamente raffinata” si configurano “come interpretazione del movimento vitale che accompagna ogni fenomeno naturale, come tentativo di far partecipare e di coinvolgere direttamente l’uomo nel flusso della natura (L. Galante)”.
Quegli elementi di natura vengono elaborati in forma sacrale: in Totem e Talismani. I Totem (’88-’90) all’unisono formano combinandosi in quelle mescolanze di colori, un rintocco. Nella loro andatura verticale sono compenetrati dalla luce, percepibile nel retro della tela. Questo particolare li fa essere ancora più elementi reali; illuminati formano un luogo abitato. Concepiti come emblemi di quell’essere interni al ritmo, i totem si accordano esteticamente alla qualità di sobria esistenza del reale, trattenendo nelle fessure il minimo richiamo alla sequenza massima delle variazioni.
Poi ulteriormente, come cose consacrate, il colore dei talismani suggella questa forma di rigore. Al Talismano Nuvola è dedicata una lettera dello scultore Nino Rollo che scrive: “Renato quest’opera, penso sia la chiave di volta del tuo operato, dire che è molto bella è da stupidi. È un’opera VALIDA,…quel colore SPARTANO di quell’opera TALISMANO NUVOLA che ti rapisce e ti fa sognare ecco il vero REALISMO PITTORICO”.
Quel realismo pittorico che è connesso alla QUINTESSENZA, che è ancora la musica. In queste opere il colore si smagra e inizia la sua ricerca, o meglio la sua immersione nel fondo per estrarre quelle “forze” compositive che porteranno alla relazione tra i colori primari. L’immersione, non può che avvenire in uno spazio pluridimensionale e non può che interessare più livelli. Da questa “fase” vengon fuori le pittosculture sonore –dall’Onda Sonora…i suoni dell’alba” sino a Il Suono Verticale il blu il rosso il giallo, agli Scrigni (il primo di questa serie è del 1996). Le pittosculture rappresentano formalmente il dilatarsi della tela. La superficie acquisisce plasticità, rilievo tattile. Preferenziale è l’incedere delle linee curve. Anche quando le linee o le materie s’elevano in forma verticale non sono mai perentorie, dirette. Ma s’elevano con dolcezza senza far violenza nella decisione di un gesto assoluto. Anche qui la percorribilità temporale è preferibilmente lenta, come quando si cammina in un sentiero. Le andature così plastiche, sinuose, riportano a quel saper stare alla coralità. In Il suono verticale il blu, il rosso e il giallo (2000/1) l’agglomerato delle linguette policrome, non si staglia infatti, come se fossero scagliate verso l’alto, ma si succedono le linguette verso l’alto, ritmando attraverso la ripetizione della forma e il richiamo del colore, l’ascesa.
Nelle pittosculture cominciano a stagliarsi i colori nelle gamme più estese dei primari. Lo stesso accade negli scrigni promettendo quel “…contrasto tra i colori puri (che) riproduce la vitale ricchezza di una luminosità primordiale. I primari e i secondari allo stato puro hanno una forma luminosa cosmica originaria e nello stesso tempo danno il senso di una realtà tangibile e festosa (Itten)”. Nella ricerca della dilatazione del colore le forme cominciano a cercarsi, per combaciare, si richiamano simmetriche. Nel Fluire della vita (’99), sullo sfondo animato dal rincorrersi dei pigmenti, nella movimentata via del fluire, compaiono spazi di pieno rosso, di profondo blu. La composizione delle forme di legno è data dal venir fuori della spinta dei primari, che in quest’opera cominciano ad ingrandirsi, senza creare una centralità ma una confluenza. Questo determinarsi dal fondo, ha preso ormai la sua decisione e nella Valigia dei Suoni Verticali, la forma del suono (2001) – il giallo, il blu, il verde, il rosso, dal di dentro delle pieghe delle forme in legno, ruotano per lasciare quella, valigia, quell’ultimo scrigno senza chiusura: sono pronti i colori ad essere in fuori attorno all’aria che li attraversa. Possiamo attraversare veramente tutta l’opera trovando anche quell’eco festosa che è il rimando dei primari.
Aprile 2002
Testo critico nel catalogo “Renato Centonze” per la mostra allestita nel Chiostro del Convento dei Frati Francescani, 2002