di Pino Cordella
Il suo lavoro nasce da un discorso ben preciso, collegato con la realtà, consapevole di essere chiamato a dare un contributo sociale attraverso la sua opera. Il discorso si riallaccia alla rottura del ciclo ecologico, perciò alla distruzione della natura, all’ isolamento totale dell’uomo. Non è un caso che le sue opere raccontino di uomini soli, di paesaggi distrutti, di animali morenti. L’ umanità è sconvolta, atterrita, è l ‘uomo a creare ed a subire tale distruzione.
La costruzione sulla tela è minuziosa, le figure si stagliano prive di fisionomia, chiare nel dimostrare il pesante dolore che le sovrasta, fermate quasi magicamente in pose di abbandono o sconvolte, dove il dramma è evidente.
Il paesaggio è immobile, inanimato. La terra, le pietre, i tronchi hanno perso la loro naturalezza, i colori sono sfibrati e consumati.
Nell’opera grafica e in alcune tele appare sullo sfondo un riquadro contenente città distrutte in una rappresentazione quasi ossessiva della iconografia. La tecnica è calibrata, così come i colori che seguono il tempo di questo discorso. Il piano di lavoro è curato, tenace, sofferto. I colori, in cui le tonalità di grigio prevalgono, perdono la loro lucentezza per far posto ad una opacità che è terra sofferente. L’esperienza di anni di lavoro è evidente nell’applicazione in chiave personale della tecnica delle velature, nel recupero dell’uso nuovo del pennello, nelle spatolate curate.