Intervista alla moglie
Floris Quarta
proprietaria dell’archivio ‘Renato Centonze’
di Antonietta Fulvio
LEQUILE (LECCE). Dal 1972, anno della sua prima personale a Fasano, al 2008 all’ultima mostra ai cantieri teatrali Koreja intitolata Auto-geo-grafie, un progetto per illustrare – lo aveva anticipato Renato Centonze nel suo sito «il percorso interiore che è alla base del mio «fare artistico». Era nato a Cavallino, il 9 ottobre 1947, segnato nel fisico da una forma di poliomelite che lo aveva colpito quando aveva appena due anni. A causa della sua malattia, a nove anni viene ospitato a Torino nel collegio della «Pro Juventute» della fondazione di Don Gnocchi dove studia e consegue il diploma in computisteria.
“L’ infanzia non facile e l’esperienza, nella giovane età, della dura e spersonalizzante realtà della grande metropoli industriale costituisce l’ humus su cui Renato ha formato la sua personalità, caratterizzata da una sentita attenzione verso l’individuo (e verso la società sofferente), influenzandone fortemente il messaggio artistico”.- racconta Floris Quarta ricordando il suo primo incontro nella biblioteca comunale di Cavallino dove Renato, una volta rientrato nel suo paese, aveva ricevuto l’incarico di bibliotecario. E con Floris abbiamo voluto ricordare l’uomo e l’artista.
Un libro fu galeotto, cosa ti ha affascinato di Renato Centonze?
Renato era un uomo mite e dalla grande umanità, generoso e riflessivo, tenace e coerente. Mi colpì il suo essere anticonformista il suo non omologarsi alla frenetica velocità delle mode e alla logica dell’apparire.
Era sempre alla ricerca dell’essenza delle cose, e un difensore della libertà intellettuale e dello spirito critico.
Nonostante l’attività di bibliotecario Renato si iscrive all’istituto d’arte e poi all’Accademia. Che cosa era l’arte per Renato?
L’arte era ed è stata tutta la sua vita. La sua più grande passione. Ricordo che amava rifugiarsi per ore nel suo studio qui a Lequile per dare corpo alla sua creatività ma anche per leggere, ascoltare musica, studiare, pianificare le sue intuizioni, ricevere artisti, critici d’ arte, amici e compagni di strada. Con tutti amava confrontarsi con spirito dialogante e inclusivo.
In Renato era anche molto forte l’impegno civile e politico.
Il suo è stato un impegno contro ogni forma di discriminazione e di ingiustizia, un sentire che ha contrassegnato ed attraversato tutta la sua vita di cittadino e di artista. Ricordo la sua partecipazione a rassegne di artisti democratici come a Novoli nel 1975 e la sua adesione nel 1984 all’appello di intellettuali e artisti salentini «…per la pace e la vita contro la guerra nucleare». Su questo tema, già nel ‘79, aveva prodotto una cartella serigrafica intitolata «energie alternative». Negli anni ’70/’80, protagonista appassionato dei fermenti socio-politici del periodo, dà corpo al suo dissenso con opere come «crocefissione bianca», «morte sociale» e, nell’89, «Omaggio a Chico Mendes» per ricordare l’ambientalista brasiliano e la sua lotta in difesa delle popolazioni della foresta e delle loro attività che era stata la causa del suo assassinio.
Il ruolo sociale dell’arte ma al contempo la difesa della sua sacralità, sganciata dalle logiche del mercato.
Sì, Renato aveva chiarito più volte la sua posizione a riguardo: l’artista come il pensatore deve restare fuori dal mercato perché «nel momento in cui ci si pone nel mercato, si diventa appendice della produzione all’interno di un anonimo scambio, cioè merce-compratore, e non più produzione artistica, libertà e ricerca di qualcosa che vada oltre, che sia una trasmissione intima di emozioni»
Dalla grafica alle serigrafie, dalla pittura alle pittosculture sonore al centro della sua indagine il rapporto uomo natura…
Il tema della difesa di una «ritrovata felicità nel rapporto con la natura» è da lui sentito davvero come una via di salvezza oltre che fonte inesauribile di emozioni, coinvolgimento totale dei sensi ecco perché spesso le sue opere diventavano multisensoriali e lui stesso invitava a “toccarle, suonarle”. Ricordo la mostra èp-art a Cavallino quando il suo Gran Concerto d’erba fu suonato dal musicista Philip Corner, esponente del gruppo Fluxus. O quando il M°Alessandro Girasoli compose ed eseguì una partitura per le pitto-sculture sonore in una mostra alla Galleria L’Osanna di Nardò, come pure la partitura di musica elettronica elaborata dal M° Biagio Putignano che la eseguì in occasione della mostra ai Cantieri Teatrali Koreja nel 2005.
Ci sono delle foto bellissime e dei video che raccontano quelle esperienze irripetibili così come amava dire Renato “l’arte aiuta l’arte” e forse oggi più che mai in questo momento storico così complesso e delicato avremmo bisogno di guardare ciò che ancora ci suggeriscono le sue opere.
Arte e Luoghi, edizioni Il Raggio Verde, marzo 2017