di Antonietta Fulvio
24 maggio 2010/24 maggio 2020, DIECI ANNI SENZA DI TE,RENATO! Il vuoto, il vuoto assoluto… solo in parte colmato dai riflessi bagliori dei “tuoi segni”, eterni, che sempre accarezzano la mia anima facendola vagare nel tempo dei ricordi, quel tempo che ti sei portato via.
È il pensiero di Floris Quarta, moglie di Renato e responsabile dell’Archivio “Renato Centonze”.
Dieci anni.
E sembra solo ieri, il ricordo di un pomeriggio freddo di dicembre, nella sede dell’associazione Raggio Verde, in via Federico D’Aragona, mentre allestivamo la sua personale di pittura “Segno suono colore”. Un artista dello spessore di Renato Centonze che illuminava con i suoi colori lo spazio dell’associazione culturale nata con la bizzarra idea di creare un luogo di confronto tra i grandi e gli esordienti, alcuni dei quali oggi diventati grandi… Ah, l’ineluttabilità del tempo che però non offusca il valore della memoria quando si hanno gesti e parole condivise da annoverare. E la consapevolezza che durante il percorso qualche seme di buono è stato gettato.
«Sempre amammo chi ci lasciò impresso un ricordo vivido d’amore. Chi fu una vera guida, capace di custodire nello scrigno dei vissuti, sentimenti di empatia e di meticolose cure.»
Con queste parole il poeta Marcello Buttazzo ci parla di Renato, del loro primo incontro.
«Ho conosciuto Renato Centonze quando ero un ragazzino. Lui era già un artista stimato dal pubblico e dalla critica. Mio fratello maggiore Emidio lo conosceva più compiutamente. Talvolta, ci recavamo nel suo studio, situato nei pressi del Convento San Francesco dei Frati Minori di Lequile. Renato era sempre gentile e cortese nell’accoglierci. Una persona di straordinaria bellezza umana, con un eloquio accorto e contegnoso. Mi impressionava favorevolmente la sua disponibilità, la sua cultura profonda, aperta, morbida e liberale. Un uomo molto impegnato politicamente e civilmente, con un attaccamento viscerale per gli ultimi, per i diseredati, per gli esclusi, dalla società frettolosa della superficialità. Pur non avendo personalmente competenze pittoriche, restavo ammaliato dalla sua arte immaginifica, dai colori vivi come tratti lievi di pennello sulle sue tele, dal canto dei centomila violini emanato dalle sue opere. La sua tecnica era ricercata, musicale. Come una poesia lirica, produceva un incedere ritmico, un procedere intenso, una magia, un incanto. A mio fratello Emidio, Renato aveva donato, nel 1988, un piccolo lavoro dal titolo “Particolare di marea”. Un olio su tela, in cui si respira ancora oggi il riverbero del mare. Rammento che, nel 2006, avevo scritto una raccolta di versi, “Nei giardini dell’anima”. Desideravo per la mia copertina un disegno significativo e bello. Andai a trovare Renato nel suo buon ritiro. A lui portai le bozze della mia silloge. Mi donò, in pochi giorni, un’immagine favolosa della sua opera “I concerti della notte…L’alba, 2000-2001”. Un’opera trasognata con venature blu, viola, rosse, bianche, celesti, che esprimono al meglio il passaggio interiore ed esistenziale dalla lunga e incomprensibile notte all’aurora liberatoria, che è sempre sorgiva. Nel 2007, “Nei giardini dell’anima” uscì per Manni Editori. Renato lo incontravo per il paese. Era sempre molto fecondo e piacevole interloquire con lui, che era una persona, prima d’ogni cosa, dolce e delicata. È sempre presente nei miei giorni. Il suo buon cuore mi fa compagnia».
Parole delicate, la testimonianza del poeta che delinea il ritratto di Renato uomo e artista che merita di essere ricordato e conosciuto se non altro per la carica innovativa che la sua arte ha saputo infondere nella cultura e non solo del proprio territorio che tanto ha amato.
L’improvvisa emergenza sanitaria ha arrestato bruscamente la quotidianità di tutti e anche l’idea di celebrare, a dieci anni della scomparsa, la vitale forza dell’arte di Renato Centonze (1947-2010). Perché le sue opere sono il segno tangibile della sua vita e della sua presenza qui, ancora oggi, nonostante la sua assenza.
E manca a tanti, molti, l’amico e l’artista Renato Centonze.
«Mi manca la sua amicizia, iniziata tra i banchi dell’Istituto d’Arte “G. Pellegrino”, le nostre conversazioni sull’arte e non solo nel suo studio a Lequile, le mostre organizzate insieme a lui e non ultima la fiducia nella casa editrice, ai suoi esordi, cui affidò la costruzione del suo sito» racconta Giusy Petracca presidente de Il Raggio Verde edizioni nata dall’esperienza delle attività culturali che portarono la movida culturale nel cuore di Lecce quando non c’era altro.
E le visioni dell’arte, gli incontri, le parole e i gesti inebriavano più di un calice di vino.
«Chi ha mescolato colori, chi ne ha avvertito e colto le vibrazioni di luce in una articolata materia ritorna con il pensiero a ricordare.» A parlare è l’artista Francesco Pasca che immaginando di scrivere una lettera all’amico fraterno aggiunge: «Caro Renato non so se la tua fu narrazione, nella certezza che mi ha accompagnato e in un trascorso di visioni, sicuramente, c’è ancora il tuo sogno. Il gesto da te compiuto, in una mia incomprensione, potrà insistere e diventarlo. Il ricordo, di fatto, è tuttora in grado di essere quel tuo alternare l’onirico al reale. Così mi piace rammentarti, così puoi continuare a transitare in me caro Renato, così e in una visione strappata dal pendolo di quel tempo. Per te ci fu la voce di un artista narrante con la capacità di esaminare il colore e dominarne la materia, come l’essere tra la folta vegetazione di un sottobosco umorale e psichico. Caro Renato tu hai voluto il già racconto. Il Tempo del tuo narrare sarà ancora logica strategica di noi lettori delle tue opere. Anche oggi ne scrivo e vorrei suggerirti: Qualunque sarà il tuo cammino ricorda che ciascuno di noi, affaccendato nel colore, potrà cogliere come fu per te il pericolo o la felicità.»
E per chi volesse avvicinarsi all’opera di Renato Centonze, fortemente voluto dalla moglie Floris Quarta e dedicato alla memoria del loro figlio Marco, prematuramente scomparso nel 2016, c’è il sito che segue l’impostazione che lo stesso Renato ci aveva suggerito intuendo nelle maglie della rete la possibilità per l’arte e per gli artisti di dialogare ininterrottamente. Oltre lo spazio fisico. Oltre l’incedere del tempo.
C’è chi poi Renato Centonze lo ha conosciuto da bambina come Sara Di Caprio che, ammaliata dalle sue opere, oggi di lui scrive con le parole della storica dell’arte.
«C’è sempre stata una sinergia tra la musica e l’arte. Wassily Kandinsky “vedeva” letteralmente la musica e con quel “ritmo di note” in testa inventò l’astrattismo. Gli studiosi hanno identificato nel termine sinestesia la capacità di un individuo di percepire gli stimoli sensoriali come impulsi sollecitando altri sensi. Renato Centonze non solo vedeva la musica, ma trasformava le sue tele in strumenti musicali. In tutte le sue opere si possono ascoltare oltre che vedere vibrazioni sonore che accolgono il fruitore in nuove dimensioni. Lui stesso denominava la sua produzione artistica, dagli anni 1991 in poi, “pitto-sculture-sonore” e in questa sinergia l’artista contempla e abbraccia l’universo naturale alla ricerca di luci e suoni che devono far approdare alla dimensione dello stupore. Renato Centonze trasformava elementi inerti come corde, chiodi, campanelli, legno in flusso vitale. Riusciva a ritrasformare, disegnare e segnare usando tutti i sensi che rendono un individuo capace di intendere e di immaginare.
La sua ricerca artistica dai “Cieli Musicali”, passando alla suggestione alchemica-rituale del tema dei “Talismani” e del ciclo dei “Totem”, approdando ai “Concerti della notte”, che contengono veri e propri strumenti a percussione e a corda, fino ad arrivare alla “Valigia dei suoni” hanno l’innata capacità del Genio che riesce a regalare al fruitore nuovi punti di vista con cui esaminare e rielaborare il proprio mondo.
Renato Centonze aveva la capacità di trasformare e rielaborare attraverso i colori i suoni dell’universo. Le sue ultime ricerche pittoriche, non a caso, erano approdate alle “Auto-geo-grafie” ricalcando delle mappe in cui disperdere lo sguardo e che sembrano poi diventare delle cellule e dei segni primordiali in cui si può intravedere l’infinito. L’ artista, che oggi vogliamo ricordare, aveva intravisto nel suo flusso artistico la vita stessa e la celebrava in ogni sua forma.»
Ed è questa sua sensibilità, la possibilità di regalarci nuovi sguardi oggi a mancarci, se possibile, ancora di più.
Avevamo immaginato di ricordarti con un’antologica dei tuoi lavori perché al di là dei fiumi di parole che si possano scrivere su un artista, a parlare ancora per lui, lenendo in qualche modo il dolore per la sua assenza sono e restano le sue opere.
La tua Arte sublime continua a dialogare con tutti noi.
Ci piace immaginarti lassù tra cieli musicali che continui a dipingere e a creare capolavori come quelli che ci hai lasciato.
Grazie per aver condiviso con noi parte del tuo cammino.
Articolo pubblicato su Arte e Luoghi, 24 maggio 2020