Per continuare a camminare

di Angela Serafino

” Poiché la ragione deve operare le conoscenze teoriche sono indispensabili. Fine del nostro lavoro: conoscenza degli elementi che in ultima analisi conducono alla costruzione (composizione). A che fine quest’insegnamento? Dimostrare che tutto è legato alla radice – prodotti naturali, opere dell’uomo-, che tutto è legato allo stesso svolgimento. Armonia. L’armonia non è in quiete, ama πάντα ῥεῖ natura NATURA vita VITA. L’arte non si colloca fuori dalla VITA (è vita in atto!); essa ha origine dall’impulso naturale. La sua legge fondamentale è il ritmo, come in NATURA. Tutte le vibrazioni del cosmo sono disordine bensì un evento complesso che in ultima analisi è semplice” Wassily Kandinskij. Lezione 7, I semestre (1931).

Tante volte ho pensato che il percorso della conoscenza, dell’arte, non sia quello che dell’originalità, anche quando tale appare; ma piuttosto un esercizio costante di collegamento coni pensieri e le azioni degli altri, una forma di riconoscenza nei confronti di un lavoro già espletato nel solco del quale, continuando le elaborazioni si enucleano ulteriori – forme-. Ciò che rende possibile il continuare è l’acquisizione non di un concetto ma di un processo. Un disporre gli elementi del proprio – linguaggio- nella tangenza del colloquio; nell’urto della bellezza, nella scelta di non arrendersi a se stessi.

Nello scrivere per Renato Centonze non posso che tener presente la NATURA quale paradigma compositivo, come termine e dinamica di osservazione, anche là dove sriga con il coinvolgimento.

Solo dopo questo tempo trascorso, raffiora il metodo con il quale coniugo la mia partecipazione all’opera. In questo arco di tempo ho camminato a lungo tra i sentieri sterrati, prossimi ai campi.

Ho camminato piano, molto piano per tenere con lo sguardo i segni della clorofilla, del movimento – immobile della pozza d’acqua, dove marcisce e rinasce la vegetazione, o semplicemente dove sembra non accadere nulla in superficie, sino a nuova forma. Sotto le scarpe il suono pastoso della terra.

ilvento8Nelle giornate di tramontana, quando la patina dell’aria si scioglie e più prossimo sembra il cielo, nella trasparenza vibrante, ogni legame appare chiaro. Come fosse una mappa progettuale distesa da accogliere ancora le vibrazioni. Dai campi ho esteso lo sguardo al tempo trascorso nello studio, tra le carte di grammature diverse, tra l’oscillare delle sagome trasparenti col tratto nero ai bordi, tra il colore che respira sul fondo, nell’attesa, per decidere di togliere o aggiungere, tra i legni, piccoli, di provenienze diverse; non da ultimo le parole pronunciate e trascritte che diventano titoli delle opere, insieme a loro i puntini di sospensione che distillano la pausa necessaria per seguire il movimento evocato. Ho continuato ad osservare, in compagnia dell’eco, la tessitura delle erbe, l’impianto degli steli e delle foglie, la disposizione dei petali intorno alla corolla stessa dove la ripetizione del segno, fitto fitto, garantisce che il fiore ritorni. Ho osservato la differenza tra un colore racchiuso e la distribuzione dinamica della durata. Da un punto all’altro dei campi, un accordo tonale, da squillante ad un basso continuo, ordina la crescita, intanto il ventoda un movimento impercettibile (un silenzio) al prestissimo, riplasma e modula quanto nello spazio ha radice (Non solo nel campo):

Grazie Renato, la restituzione è la preziosa possibilità dell’opera. Che cosa possono essre le pitto-sculture-sonore se non questa possibilità, dove la distanza tra la “creazione” e la “partecipazione” viene nutrita dal desiderio (e impegno) del non essere indifferenti?

Come la restituzione diviene un metodo? Rispondere oggi a questa domanda è il punto di partenza nel quale si coniugano la trasparenza della visione e lo scorrere della storia. Un punto di mediazione che avviene “en plein air“, dove l’opera non soltanto per il suo statuto sinestetico sollecita il coinvolgimento. E, come un prato, come un mare, invita a togliersi le scarpe. Da questo – scambio- si orgina la rotazione dello sguardo. Fuori, lontano, in alto, in basso ogni segno non è indifferente. Occorre ripensare “en plein air” quali campi semantici si accludono, quali “oggetti” ripristina silenziosamente all’attenzione, l’opera.

Nell’esercizio dell’arte permane il respiro delle cose intorno; la difficoltà è nel volerne fare parte.

Il vento accarezza l’erba senza retorica, le opere come i campi sono a disposizione dello sguardo, le mie parole non possono spiegarle, continuerò a camminare…

Mi piace riportare qui  altre parole di chi ha incontrato nel tempo l’opera.

“Ci si trova catapultati nel campo dell’opera d’arte che s’apre per completarsi nell’intervento del fruitore, a sua volta attratto non poco da una possibile relazione con la sfera estetica tutt’altro che virtuale” M. Guastella

“L’amore per la natura di Centonze si fa, (…) più mediato e meditato, proprio di chi ascolta, guarda, riflette per coglierne le note segrete…per immergersi nel suo ritmo” K. Ricci

“La scommessa di Centonze è nel riuscire a farci ascoltare il «suono interiore» della natura, senza violarla…” M. Pizzarelli

“Egli non ha voluto fare dell’opera uno strumento di provocazione… ha voluto conservare all’opera tutta la sua densità, non sconvolgerne la sua natura oggettuale che ne consente anche l’effettiva appropriazione, ribadirne l’utilità, o se si vuole anche la funzione sociale”. L. Galante

 

Il Paese Nuovo, L’Ultima – Arte/Renato Centonze

Si inaugura oggi, martedì 24 maggio, alle ore 19:30, nel Chiostro di Palazzo Andrioli a Lequile “Il vento accarezza l’erba”. Opere di Renato Centonze (1947-2010)”. La mostra sarà visitabile sino a sabato 4 giugno, dalle 18.00 alle 20:30 tutti i giorni…

 

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