Il vento accarezza l’erba

ilventoaccarezzaNo, non è l’arte ad aver perduto i rapporti,

bensì l’umanità nel suo complesso

Kandinskij

 

Durante la stagione che piega all’interno, la terra custodisce con cura le sue forze e attende nella quiete per rigenerarsi. Fuori sembra non stia accadendo nulla. Quando quella cura viene alla luce, determinata quanto transitoria, le fronde degli alberi, l’erbe dei campi si fanno onda del vento, e la stagione continua. Nelle distese d’erba il vento distribuisce il movimento e nel movimento si creano i volumi. L’erba si addensa, si dilata, si sfrange, si compatta di nuovo, plasticamente. Il passaggio delle nubi, veloce e lento, accentua o attenua il moto. Del lavoro paziente dell’attesa che porta fuori la differenza della luce e del seme accolto, non c’è traccia.

Tale è la genesi dell’opera, delle opere, di Renato Centonze.

Il vento accarezza l’erba e si inoltra sino al cuore del suono, senza paura. Il pensiero che alimenta la mostra è la restituzione della delicatezza dell’erba, dello sguardo che si fa leggero e co-abita nei…campi.

Nello scegliere le opere ho immaginato di far convergere nello spazio il fluire dell’erba, del verde cangiante, della forza del giallo con alle spalle il blu; intenso e invisibile che presiede come l’aria alle variazioni e alle diffusioni. Durata e intensità (del verde) portano l’opera, nel tempo, all’eco.

Ogni scelta può essere un arbitrio, ma anche un riconoscere nel crescere dell’opera, un tratto d’unione sul quale decidere di soffermarsi. Nell’uso del verde, dei verdi, nei tratti ripetuti che portano i luoghi all’interno dell’opera, c’è la forza della coappartenenza, dove il punto d’incontro è all’aperto, nel ritmo, non topografico.

Unanimemente la critica riconosce al lavoro di Centonze l’essere portavoce di un colloquio con la natura, di un campo di relazione con gli elementi generativi. Semplicemente aggiungo che tale processo nel suo approfondirsi –mutando- ha continuato a tenere insieme le modalità compositive, la scelta delle forme plastiche, il ripetersi del segno, la disponibilità al suono: dal Grande concerto d’erba sino alle Auto-geo-grafie. In queste ultime la natura non è una mappatura dei luoghi, ma una lenta e costante sorpresa del trovarsi nello stesso tempo, rifrangendosi, pulsando da un margine all’altro, nello scorrere della contiguità.

Nella continuità, dal filo d’erba al ruvido giallo dei trucioli, resta lo spazio aperto e la possibilità di ciascuno di esserne parte. Nella concezione dell’opera entrano in gioco molti aspetti, per Centonze non è affatto secondario che l’opera sia condivisa. Il suono è l’ospite.

 

Angela Serafino

Testo critico del catalogo realizzato in occasione del primo anniversario della scomparsa dell’artista, 24 maggio 2011

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