Cinque artisti su una zattera

La mostra “Èp-art” allestita a Cavallino nell’ex convento dei Domenicani

di Rina Durante

«Èp-art»è il titolo della mostra allestita a Cavallino nell’ex Convento dei Domenicani, dal Gruppo magico cre-a(t)ivo composto da Vito Mazzotta, Rosamaria Francavilla, Vittorio Balsebre, Roberto Buttazzo e Renato Centonze, che si concluderà il 30 giugno prossimo.

In francese «èpart» è «quel lampo che ancora rapisce lo sguardo e la meraviglia rivendo un cielo messo a  nudo. Un bagliore di luce attivatosi per dare più giusto riconoscimento a quell’esterno come riflesso dell’interno di ogni qualsiavoglia ente», si spiega in apertura di catalogo. E più in dettaglio, ciascun artista fornisce le sue personali motivazioni di questa scelta: bisogno di squarciare il  muro di gomma che rende difficile penetrare sotto la superficie dei segni, bisogno di attingere la verità profonda, di aderire ale radici della propria ed altrui natura, di evitare il propagarsi dell’inerzia, scvare a fondo nel tessuto territoriale, ecc.., rendere operativa una fote esigenza di comunicazione.

Noi prendiamo atto di queste intenzioni, che ci paiono importanti in una fase come l’attuale di felice, ma anche infelice babele espressiva, più presssati, come siamo, da eventi esterni, più che interni al fare artistico, quando la stessa voglia di arte sembra inaridirsi sotto il peso di più febbrili e fuorvianti messaggi.

Come osserva Lucio Galante, uno dei due presentatori del catalogo (l’altro è Domenico M. Fazio), non è facile trovare cosa unisca questi cinque pittori, sotto il profilo dello stile e della tecnica. Qualcosa c’è però che li unisce sotto il profilo teorico e in definitiva umano: una comne tensione etica che credevamo smarrita sotto l’apparente indifferenza del tecnicismo, della ricerca di materialità totale ed esaustiva. Piace anche leggere le confessioni di questi artisit, oltre che guardare le loro opere. Buttazzo, ad esempio pubblica una sua poesia, breve ma significativa nella quale gli «elaborati di fruizione ripetitiva» si contrappongono alla luce di Ep, «silenzionsa presenza»; Rosamaria Francavilla rivendica il diritto alle trasparenze, al di là dei colori-colori, e il diritto al sogno contro l’invadenza di una presenza imperiosa e asserverativa. Per Vittorio Balsebre, l’artista, e dunque l’arte, «è il lampo che illumina il buio della mente e dell’umanità». Secondo Renato Centonze Èp-art è«incontro di luce in luoghi dove il frastuono crea muri di gomma incolore». Vito Mazzotta spiega cos’è Èp-art (nostra citazione all’inizio) e aggiunge un preciso riferimento al presente e al contesto in cui vive. In ognuno più che bisogno teorico  c’è un bisogno umano di aggregazione, di sentirsi uniti di fronte al rischio dell’assenza.

«Interno fuori è il mio interno e il mio fuori, reale e immaginario il viaggio che continua, dialogo con l’assenza che si fa presenza, rivelazione, visione» scrive Roberto Buttazzo.

Le opere di questi cinque artisti, anche se così diverse tra loro, sono un grido disperato contro l’ottusità presente e la pretesa di un mondo che crede di poter fare a  meno dell’arte. Intesa come momento etico per eccellenza. Di Buttazzo ci hanno colpito i suoi astratti panneggi dove si concentra un’ablità tecnica straordinaria, una perfezione rinascimentale. In questo spendersi totalmente in un particoalre c’è già un sengo di umiltà profonda. Curioso è il tendere di molti di questi pittori alla fotografia (Balsebre, Mazzotta), Buttazzo usa la tela e i colori per mimare (forse inconsapevolmente)una fotografia; Mazzotta al contrario usa la fotografia, la diapositiva, per ottenre l’effetto di un dipinto. Mentre l’operazione di Buttazzo suggerisce atmosfere inquietanti, dove un formalismo esasperato finisce per vanificare la forma stessa e alludera alll’illusorietà del reale, nelle costruzioni di luce di Mazzotta, ectoplasmi di ombra e luce costruiscono immagini di una terrestrità turgida e scabra insieme.

Anche le pitture sonore di Renato Centonze tentano di aprire un varco di silenzio, suggerendo suoni inediti, percorsi sonori alternativi al frastuono della contemporaneità. Sono divertenti e insieme provocanti «macchine» per sognare, uno sberleffo innocente e insieme malizioso al grande Muloch della comunicazione sonora ossessiva, ripetitiva che non concede pause. Se un messaggio esprimono questo potrebbe essere, paradossalmente: «Silenzio, ultima voce…».

Abbiamo potuto scambiare qualche idea con alcuni dei pittori che erano presenti nei saloni della mostra, e tra questi con Vittorio Balsebre. L’argomento del giorno erano le zattere con le quali stavano arrivando gli albanesi. Ne avevo viste tre, atterrate sulla spiaggia di san Foca qualche ora prima ed ero rimasta molto colpita dall’ingegnosità di quelle costruzioni rudimentali. Balsebre ha ricordato di quando comandante di una stazione dei carabinieri al confine greco-albanese, durante l’ultima guerra, aveva impedito che venisse bruciato il villaggio per rappresaglia. Ce lo ha raccontato così, senza ombra di vanto, con la semplicità che gli è propria. La stessa che guida il suo obiettivo fotografico a cogliere i graffiti apparentemente meno significativi per trarne sequenze di grande suggesione che obbligano l’osservatore a calarsi nel flusso di quei segni leggeri quasi rari?

Mazzotta si è subito innamorato dell’idea di fotografare una di quelle zattere. Per farne cosa? Forse un simbolo, ho pensato, di questa mostra che è come un tentativo di mettere in salvo i valori in cui credere, l’arte con le sue ultime potenzialità, e di prendere il largo, verso una nuova terra.

 

 

27 giugno 1991, Quotidiano, Paginone, Cinque artisti su una zattera di Rina Durante